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Il libro intitolato Physico-Mathesis de Lumine, Coloribus et Iride fu pubblicato due anni dopo la morte del suo autore, un gesuita di Bologna, Francisco Maria Grimaldo noto come Francesco Maria Grimaldi (1618-1663) [1]. Egli descrisse degli esperimenti che aveva escogitato e realizzato per studiare la natura della luce. All’interno di un cono di luce, Grimaldi inserì ostacoli opachi (oggetti di forma rettangolare, fili sottili, pezzi di stoffa, ecc), oppure una lastra sottile su cui erano stati fatti due piccoli fori ed osservò gli effetti su uno schermo finale bianco.
Grimaldi era convinto che la luce consistesse di un fascio di particelle. Queste passando ai lati di un ostacolo opaco producevano, su uno schermo bianco, un sistema di linee chiare e scure. Grimaldi non sapendo come spiegare l’effetto osservato concluse: “Lumen propagatur seu deffunditur non solum Directe, Refracte, ac Reflexe, sed etiam alio quodam Quarto modo, DIFFRACTE” ([1], Propositio I), vale a dire, la luce non solo si propaga lungo linee rette, è riflessa, è rifratta, ma è anche diffratta. Secondo Grimaldi, il fascio compatto di particelle che costituisce la luce, passando vicino ad un ostacolo, subisce il “fenomeno di diffrazione”, vale a dire, il fasci luminoso si rompe e si propaga anche dietro l’ostacolo. Questi effetti, mai osservati in precedenza, furono giustificati paragonando il comportamento della luce con quello dell’acqua. Per questa ragione Grimaldi avanzò l’ipotesi in via cautelativa scrivendo che la luce almeno qualche volta si comporta come un onda,”..saltem aliquando etiam undulatim..” ([1], Propositio II).
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